Intervista a Fulvio Finardi: un tuffo nella storia del nostro Club
- edb7205
- 26 lug
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 21 ago
Quando si parla di storia, ci si riferisce spesso a qualcosa di lontano, quasi astratto. Ma per noi del Club, la storia è anche fatta di volti, di mani che hanno costruito, sostenuto, lottato e creduto. Fulvio Finardi è uno di questi volti. Lo incontro con l’intenzione di ripercorrere con lui il suo percorso nel Club: ne nasce una conversazione intensa, ricca di aneddoti, memoria viva e passione autentica.

Fulvio arriva al Club Canottieri dopo una prima esperienza nella Società Nuoto di Lugano. All’epoca, ci racconta, a Lugano c’erano tre grandi opzioni sportive: nuoto, canottaggio o atletica. “Il lago, per la gente di Lugano, era l’ambiente naturale”, ricorda. Partecipava alle traversate, una mini e due grandi: “alla seconda non c’erano più nemmeno le medaglie!”.
Fu dopo alcune esperienze deludenti che decise di provare con il canottaggio.
Il primo impatto con il Club è vivido nella sua mente: una sede vecchia, un cantiere lungo come un otto, un allenatore burbero con il bavero alzato e la sigaretta sempre in bocca. Fulvio aveva 16 anni.
Gli equipaggi erano pochi, due o tre al massimo, e gli allenamenti si svolgevano quasi sempre sul percorso Melide - Golfo di Lugano. Le regate c’erano già, ma solo a livello regionale: da Castagnola fino all'Hotel Splendide. Nessuno pensava ancora ad andare alle regate nella Svizzera tedesca.
Le condizioni erano modeste: niente attrezzatura per esercizi a terra, solo allenamenti in acqua. La sede era piccolissima, con spogliatoi angusti e docce che consentivano solo a due persone di sfruttare l’acqua calda. “Era un club alla buona,” dice Fulvio, ma ci si stava bene. Intorno, già presenti anche gli altri due Club luganesi, con cui i rapporti non erano dei più distesi.
A vent’anni entra in direzione come segretario, grazie alla sua formazione commerciale. Le riunioni si tenevano al Bar Golf, in una saletta dedicata. Ci andava in bicicletta, con la macchina da scrivere legata sul portapacchi. È in quel periodo che il Club comincia a muovere i primi passi in ambito nazionale: un quattro con timoniere inizia a dare buoni risultati e si decide di iscriverlo alle regate fuori regione.
Nel 1970 Fulvio diventa presidente. Il Club, però, non navigava in buone acque: l’utile netto era di appena 1.90 franchi. Serve un piano, servono idee. Così coinvolge alcuni amici, tutti pieni di energia e voglia di fare, tra cui Diego Foletti, in cui trova una valida spalla. Una delle prime iniziative è la raccolta della carta per la ditta Vismara: i soci portano al Club pile di giornali e cartoni, e quando il camioncino è pieno si va a consegnare per ottenere qualche entrata. Un'altra trovata – semplice ma coraggiosa – è sfogliare l’elenco telefonico e contattare direttamente famiglie benestanti della zona per raccontare loro il progetto del Club e chiedere un sostegno. Anche la famiglia di Fulvio contribuisce: i suoi genitori gestiscono il negozio di alimentari più grande di Lugano, e iniziano ad agevolare in tanti modi i bisogni del Club.
La svolta arriva con il coinvolgimento dei giovani. Fulvio e il suo team vanno nelle scuole a cercare nuovi atleti. Così nasce quello che lui definisce “il movimento”. Le trasferte in Svizzera interna si fanno più frequenti. Ma i risultati inizialmente non arrivano. “Avevamo quattro ragazzi molto forti – racconta – ma finivano sempre ultimi. Mancava la tecnica.”
È a questo punto che Fulvio decide di contattare un allenatore del Grasshopper, molto stimato. L’uomo accetta di dare una mano e invita gli atleti a Zurigo per un paio di weekend. Da lì… iniziano a vincere. Il lavoro paga, e il movimento cresce.
Le trasferte sono parte integrante del racconto. All’inizio si dorme nelle palestre, mancavano i soldi, mentre Fulvio e sua moglie preparano sacchetti con i pasti per gli atleti. Quando arrivano le prime entrate, si passa agli alberghetti. Un momento che Fulvio ricorda con emozione è la prima notte in hotel, a Stans: la mattina dopo, durante la colazione, tutti i ragazzi si alzano in piedi per ringraziarlo. “Mi sono commosso profondamente.”
Anche la logistica aveva i suoi ostacoli. Senza un carrello, le barche più lunghe venivano caricate su vagoni ferroviari, mentre lo skiff viaggiava sul tetto del Maggiolino. I tre club di Lugano usavano vagoni separati, lasciandoli spesso mezzi vuoti. Fu Fulvio a rompere il ghiaccio, invitando a cena i presidenti degli altri due Club. Da lì in poi, le trasferte si fecero in comune, e anche i rapporti migliorarono.
Dopo di lui, alla guida del Club arrivò Americo Bottani, che proseguì il percorso intrapreso. La sede era ancora vecchia e molte cose restavano da sistemare, ma ormai il seme era piantato e stava crescendo forte.
Mentre parla, Fulvio si emoziona. Lo si vede negli occhi e nei gesti. Il Club è ancora oggi una parte importante della sua vita. Il canottaggio – dice – gli ha fatto bene al fisico (“sono ancora in forma!” ride) ma anche al cuore. “È una famiglia che resta. Il senso di appartenenza, la disciplina, il rispetto: cose che mi porto dietro da tutta la vita.”
Ascoltare Fulvio Finardi è come sfogliare un vecchio album di fotografie: immagini piene di vita, con l’odore della carta e la forza della memoria.
La nostra solida e vivace realtà odierna spesso ci appare scontata, ma in realtà ogni traguardo, ogni conquista è il frutto di anni di passione, sacrificio e dedizione da parte di chi ci ha preceduto e ha animato il Club fin dalle sue origini.
A noi il compito di custodire, far crescere e proteggere questa eredità, continuando a trasmettere quel senso di appartenenza che rende il nostro Club una vera famiglia.
Emma Dal Ben
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